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Ore di volo

ore di volo per diventare autonomi e competenti

di Fabio Gon

Sono cresciuto in una casa che confinava con un aeroporto. Sin da piccolo ero affascinato dagli aeroplani. Ne vedevo ogni giorno un buon numero e di diversi tipi.

C’erano quelli piccoli da turismo, c’erano i jet privati, c’erano aerei di linea di diverse dimensioni. Ogni tanto compariva qualche jumbo: un veivolo enorme, un pachiderma, se confrontato con tutti gli altri.

Aerei ed esami di terza elementare

Mi affascinava il mondo degli aerei. Mi ricordo che per l’esame di ammissione alla classe quarta elementare sono stato interrogato sugli aereoplani e devo dire che ne sapevo abbastanza.
Uno degli aspetti rispetto al quale mi ero spesse volte soffermato a riflettere era il concetto di ore di volo. Un pilota non poteva passare automaticamente da un aereo ad uno di stazza superiore: doveva prima fare esperienza e questa veniva misurata in ore di volo.

Ore di volo = Esperienza

Pensando agli aerei, il concetto di ore di volo è un concetto strano:
un pilota non doveva semplicemente conoscere a memoria tutte le regole del codice del “cielo”, non doveva semplicemente conoscere “teoricamente” il veivolo e non bastava essere preparati riguardo tutte le procedure legate al muoversi in aria, all’atterraggio, al decollo, ma doveva dimostrare di aver trascorso abbastanza tempo ai comandi di un aereo, di quel tipo di veivolo: doveva dimostrare di aver fatto “esperienza”; di aver sperimentato diverse situazioni; situazioni che poteva sperimentare solamente a forza di km e ore di volo.

E dire che il traffico aereo è molto regolamentato: nella mia mente da bambino, immaginavo che vi fossero procedure molto rigide e precise, per cui, prima di fare esperienze diverse e abituarvisi…. insomma solamente con tante ore di volo si poteva diventare esperti e competenti riguardo le diverse le casistiche e i diversi problemi legati al volo.

Automobili e Neopatentati

Quando, diciottenne, ho superato l’esame per la patente, ero desideroso di diventare presto un brillante e pratico pilota di automobili potenti.
In realtà avevo ben presto scoperto che un neopatentato non poteva guidare qualsiasi veicolo a motore, ma doveva limitarsi ad automezzi con una cilindrata non troppo elevata.

Far pratica con esperienze via via più complesse

Di nuovo anche in questo caso, si presentava la situazione in cui, era necessario impratichirsi con un mezzo “tecnicamente limitato” prima di procedere ad una classe superiore.
Far pratica voleva dire lasciar trascorrere un pò di tempo prima di passare ad una cilindata superiore: di fondo c’era l’idea che con il tempo e quindi con l’esperienza uno potesse, piano piano, diventare capace di guidare e quindi di “spostarsi” in modo responsabile e adeguato.

Far pratica serve ancora?

Se guardo, ad oggi, la situazione in cui si ritrovano i nostri ragazzi, mi sembra che questo principio non valga più: per i nostri ragazzi, i nostri figli, la cosa che riteniamo più cara al mondo, si sta adottando un ragionamento diverso.

Per i nostri figli si adotta l’astensione dalle esperienze

Mi accorgo, dalla mia attività professionale, esaminando questionari, analisi statistiche e ragionando con le famiglie, che purtroppo con i nostri ragazzi la prassi operativa è diversa: si preferisce astenerli dalle esperienze.
In media, statisticamente, noto che le famiglie, stanno ritardando nei loro figli, l’acquisizione di alcune competenze fondamentali: per questioni organizzative, pratiche, per colpa della mancanza di tempo, perchè si ritiene che sia importante preservarli dai pericoli … ma anche … dalle esperienze.

Crescere senza acquisire competenze per cause di forza maggiore

In pratica questa situazione la si può verificare ogni giorno.
I nostri ragazzi crescono senza fare esperienza, senza aver l’opportunità di diventare competenti: per strada si incontrano pochi bambini a piedi e in bicicletta.
Essi si muovono in autonomia molto in ritardo, a volte si arriva addirittura al termine delle scuole medie.

Con poche ore di volo si passa comunque ad un mezzo di classe superiore

Poi d’un tratto succede un qualcosa che cambia radicalmente l’approccio alla mobilità:
i nostri ragazzi, nonostante le pochissime “ore di volo”, senza aver sperimentato via via situazioni più difficili, più complesse, senza acquisire competenza, passano ad un mezzo superiore: lo scooter.

Di colpo di fronte allo scooter non si riesce più a tener chiusa la porta: la spinta sociale è forte, il nostro desiderio di farli felici è forte. Nonostante le poche ore di volo il mezzo di classe superiore viene concesso.
Ed oggi giorno gli scooter sono mezzi che di cavalli ne hanno parecchi: capaci di buone accellerazioni e elevate velocità.

Mancano le ore di volo: i risultati si vedono

Ma purtroppo mancano le ore di volo. E i risultati si vedono.
Quale esempio, il Friuli Venezia Giulia è in cima alla lista dei paesi europei per numero di incidenti mortali che riguardano direttamente i ragazzi tra i 14 e i 25 anni.

Un’inversione di rotta è necessaria

L’alternativa c’è ed è semplice. Far fare ai nostri ragazzi molte ore di volo:
prima a piedi, poi in biciletta e poi gradualmente passare allo scooter. Ma non prima di aver sperimentato i “veivoli” di grado inferiore.

A piedi e in bicicletta

Farli andare a piedi però non vuol dire lasciarli liberi e metterli in mezzo ai pericoli: vuol dire accompagnarli, farli camminare, farli sperimentare esperienze e difficoltà via via crescenti in modo che si impratichiscano e diventino esperti.

Allo stesso modo, ci si può comportare in bicicletta : la strada è un ambiente complesso e solamente con l’esperienza si acquisiscono competenze.

I nostri bambini, i nostri ragazzi hanno bisogno di ore di volo per diventare “piloti” competenti.

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